LA MATRICE STORICA DELLE IDENTITÁ TERRITORIALI

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La geografia fisica e la descrizione degli ambienti mostrano come l’Europa non si possa considerare un continente al pari degli altri. Dal punto di vista fisico, infatti, quella europea è una geografia delle mancanze: all’Europa mancano i grandi spazi liberi che caratterizzano tanta parte di Asia e Africa, delle Americhe e dell’Oceania, le mancano i primati dei grandi fiumi, dei deserti, degli altopiani. Le disparità bio-climatiche, le giustapposizioni tra terre e mari, i frequenti sipari montuosi che rompono la continuità morfologica rendono la geografia del nostro continente estremamente frammentata.

Senza essere davvero un continente geografico, l’Europa è però da parecchi secoli un grande continente culturale. E’ cioè uno spazio in cui si possono rintracciare fra le diversità che contraddistinguono una regione dall’altra anche elementi di somiglianza profonda, radicati nella storia e nell’economia e quindi nelle tradizioni artistiche e culturali, nelle mentalità, e inoltre nelle tecniche, nelle strutture sociali, nelle forme politiche.

In questo senso la parola "cultura" va intesa come sinonimo di "civiltà": i progressi scientifici, tecnologici e artistici della società europea non possono essere separati da quelli economici e sociali.

Il nostro continente è stato teatro di innumerevoli incontri di popolazioni con culture diverse che hanno formato nel corso dei secoli gli elementi per una <base culturale europea>.

Sulla trama degli elementi culturali comuni si sono innestate anche infinite differenze e contrasti a volte anche grandi, che hanno prodotto le molte Europe, ovvero le molte nazioni che possiamo individuare oggi sulla carta: Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania eccetera. Ma anche le diverse regioni che a volte sono comprese in uno stato, come la Puglia e il Trentino Alto Adige nello stato italiano.

L’idea dell’Europa poggia su quella che apparentemente potrebbe sembrare una contraddizione: l’unità nella diversità. Di fatto invece, come abbiamo detto, esistono importanti elementi che accomunano gli abitanti di questo continente. I tentativi di unificare con le armi lo spazio politico europeo si sono sempre scontrati , da Carlo Magno ad oggi, con la tenacia dei particolarismi nazionali e con la forza del sentimento di libertà. Neppure le potenti armate di Napoleone e di Hitler hanno saputo soffocare questo sentimento della libertà comune a tutte le nazioni europee.

Il progetto di unificazione politica degli stati europei rappresenterebbe, qualora si attuasse, il primo caso nella storia d’Europa di progetto politico sovranazionale basato sulla volontà dei popoli, senza finalità autoritarie nè rivoluzionarie.
 

Le geografie culturali: fratture e unità

Riportate sulla cartina, le diverse geografie culturali non si sovrappongono con esattezza: la geografia delle lingue non corrisponde a quella delle religioni, i paesaggi agricoli non coincidono con la geografia dell’alimentazione. Neppure le grandi sezioni in cui oggi possiamo dividere la carta politica europea comprendono del tutto gli spazi culturali: Europa occidentale, Europa centrale, Europa orientale, Nord scandinavo, Europa meridionale, il grande spazio ex sovietico sono aree ricche di tradizioni culturali differenti generate dai movimenti delle popolazioni e dai mescolamenti dei loro usi e costumi.

Molte sono le ragioni per cui in alcune zone del nostro continente si possono notare ancora oggi, a distanza di secoli significative differenze culturali. In alcuni casi la frammentata morfologia europea ha ostacolato le comunicazioni, per altre regioni le diversità climatiche e quindi di risorse ambientali hanno offerto alle popolazioni differenti soluzioni ai problemi della vita quotidiana.

L’allevamento degli animali, la coltivazione, i materiali e le tecniche di edificazione, sono diventate delle tradizioni, si sono fissate in particolari <caratteri etnologici>. Ad esempio la tecnica abitativa nei paesi nordici e alpini conserva un uso abbondante del legno, tradizionale materiale da costruzione; l’edilizia anche di lusso dei paesi mediterranei, utilizza principalmente pietre spesso marmi. Nell’alimentazione l’Europa si divide ancora nettamente tra un’"Europa dell’olio", dove la cucina usa soprattutto grassi vegetali, dall’"Europa del burro" e dei grassi animali; così come è netta la prevalenza del vino nei consumi di italiani, francesi, spagnoli, e della birra per tedeschi, britannici, russi, olandesi....

Non si tratta di caratteri immobili, sempre uguali nel tempo, ma di successivi adattamenti. Ciascuna "etnia", ciascun popolo europeo ha avuto una storia tumultuosa. In passato molte invasioni sono state estremamente violente, nuove poolazioni hanno occupato territori di altre. Non è raro il caso - anzi in Europa è la regola - di leggi, cibi, tipi di attrezzi, nomi di luogo, riti religiosi appartenenti alla cultura degli sconfitti che sono stati adottati e fatti propri dagli invasori. In generale, comunque, le popolazioni europee hanno sempre saputo superare gli ostacoli di natura fisica. Le grandi differenze economiche tra le due grandi sezioni dello spazio europeo - Europa occidentale e orientale -, sono di natura politica, e affondano le loro origini nella storia europea.

 

Il" fondo etnico": l’Europa delle invasioni

L’insediamento stabile di popolazioni lungo le coste del Mediterraneo è avvenuto molto prima di quqnto le fonti storiche (cioè scritte) ce lo possano confermare. Dai reperti storici, prima del 1300 a.C., il bacino mediterraneo era suddiviso in quattro grandi aree di popolamento: berberi sulla sponda nordafricana, iberi nella penisola iberica, liguri nel Tirreno settentrionale e nell’Italia del Nord, pelasgi nell’area greca ed egea.

Tra il 1300 e il 1000 nuove correnti di invasione continentale imposero una ridistribuzione territoriale dei popoli. Sospinti dai nomedi delle steppe, di affacciarono da est popoli di guerrieri genericamente chiamati indoeuropei, riconoscibili perchè portatori di nuove tecniche come il carro da guerra con il cavallo e le sepoluture di urne cinerarie. Ma soprattutto queste popolazioni avevano lingue tra loro affini. A questi eventi lontani l’Europa deve la sua sostanziale unità linguistica: le ventidue lingue parlate oggi rappresenterebbero una vera Babele se non appartenessero tutte (tranne il finlandese, l’ungherese e il basco) alla stessa famiglia linguistica indoeuropea, e se non fossero almeno apparentate sul piano grammaticale e fonetico.

L’unità linguistica rappresenta un indubbio vantaggio per la continuità della civiltà e per la sua resistenza alle altre, evitando l’eccessivo frazionamento linguistico l’Europa ha saputo imporre il proprio dominio la dove si erano sviluppate civiltà anche evolute ma non altrettanto forti. E’ il caso delle civiltà precolombiane e di quelle dell’Africa nera, dove ancora oggi si parlano non meno di ottocento lingue locali.

In fasi successive quegli stanziamenti già influenzati dagli indoeuropei accolsero i nuovi colonizzatori provenienti dal mare mescolando così in parte le loro culture. Nel corso dei secoli si costruirono le aree delle civiltà nord africana, greca e quindi romana.

L’inquadramento dato al territorio dalla civiltà greco-romana tra il III secolo a.C. e il IV d.C. fu incrinato dal succedersi di nuovi invasori, prima respinti, poi assimilati o subiti: i Celti, che attraversarono il Reno e il Danubio per dirigersi verso sud e ovest; le tribu germaniche, che dilagarono a partire dai bacini dell’Elba e del Weser; i popoli protoslavi, che partendo dall’Oder si spostarono in direzione sud e est.

Quando le ondate di invasioni riuscirono a sommergere le difese romane, quasi sempre i nuovi venuti, inferiori per numero e per civilizzazione, finirono per assimilarsi ai popoli conquistati. L’assimilazione fu più difficile nel caso delle invasioni provenienti dall’Asia e di cui furono protagonisti i nomadi unni, arabi, turchi e mongoli.

In generale invasioni e riconquiste hanno determinato in tutto il territorio europeo la sorte delle terre e dei popoli.
 
Lo spazio europeo premoderno

L’Europa, proprio perchè innanzitutto "continente culturale", è entrata nella storia a poco a poco, con passi in avanti e arretramenti che caratterizzano ogni civiltà di antica tradizione.

In epoca antica e nel medioevo lo spazio europeo si è reso autonomo dalle altre aree di civiltà confinanti: le civiltà africane e asiatiche prima, poi dall’Islam. Le tradizioni hanno preso forme concrete e stabili ed alcuni paesaggi sono arrivati ai giorni nostri quasi immutati: il latifondo dell’Italia meridionale, le coltivazioni di agrumi nelle isole greche, le forme delle città di origine romana, la rete delle strade consolari ecc.

Prima sezione a rivelarsi motore di civiltà è stata quella che si è sviluppata sulle sponde del Mediterraneo. Da aree di civiltà vicine - regni mesopotamici, Antico Egitto - i popoli mediterranei hanno ripreso techniche agrarie , modelli di organizzazione delle città, tradizioni religiose. Lo sviluppo degli scambi marittimi ha fatto la fortuna dei fenici, dei greci, dei cartaginesi. Con i Romani, inventori dello stato multietnico, tutto il mondo mediterrraneo si compatta in un’unica organizzazione politica ed economica.

A Nord e a Nord-Ovest, dalle isole britanniche alla Francia e alla Spagna fino alla Pianura Padana, dove la civiltà romana si è radicata più debolmente, si è mantenuto più vivo l’influsso della cultura precedente, quella celtica: nomade e barbara ma non primitiva. Come la romanizzazione riuscì a sovrapporsi solo parzialmente al "fondo" celtico così, le invasioni barbariche a partire dal V secolo innestarono sulla cultura gallo-romana la "germanizzazione" degli usi, delle leggi, delle lingue.

Il mondo germanico, a sua volta, si è dilatato enormemente in numerosi secoli di espansione. Le diverse civiltà che occuparono questo spazio sono quelle che hanno vissuto i cambiamenti più vistosi e massicce migrazioni.

Le invasioni dei nomadi asiatici sospinsero le tribù germaniche fin dentro il cuore del grande impero romano; i navigatori vichinghi occupate le coste danesi e britanniche, occuparono la Francia settentrionale e si spinsero fino in Italia meridionale. I feudatari tedeschi, durante il medioevo, guidarono i grandi dissodamenti in gran parte dell’Europa centrale cercando di spingersi il più possibile verso Est. Anche i cavalieri teutonici, dopo aver cristianizzato la Prussia e la sponda sudorientale del Baltico, tentarono senza riuscirci la conquista del grande spazio russo (XIV secolo).

Lo spazio germanico, unificato da Carlo Magno, perse alla sua morte la propria unità politica staccandosi dapprima dal territorio che diventerà in seguito francese, e nei secoli successivi si frazionò con la nascita di Austria, Svizzera, dei regni scandinavi e britannici. Un’altra importante frattura è stata quella religiosa, la riforma protestante ha diviso il sud cattolico dal nord protestante. La questione tedesca è stata almeno per cinque secoli causa di gravi conflitti tra gli stati d’Europa.

L’Europa slava ha lottato lungamente per affermare un proprio spazio laddove convergevano molte aspirazioni territoriali: quella delle orde mongoliche (orda è un termine tartaro che significa campo di un Can), delle tribù germaniche e poi degli stati tedesci, quella delle popolazioni greco-bizantine e in seguito ottomane.

Il tardivo insediamento degli slavi ha dovuto fare i conti con questa molteplice concorrenza. Ne sono risultate organizzazioni politiche moderne più instabili, multietniche: la Polonia è il solo paese a popolazione quasi esclusivamente slava, mentre in Russia sono presenti assieme agli slavi molte altre etnie asiatiche. Gli "slavi del Sud" (jugoslvavi) a causa di questo frazionamento non hanno ancora trovato un assetto politico definitivo.

Già in questo periodo lo spazio europeo viene sottoposto a gravi fratture: nel IV Sec. d.C. la divisione definitiva dell’Impero Romano tra Oriente e Occidente crea due entità politiche ed economiche sostanzialmente autonome. Nel XI sec. d.C. la rottura definitiva fra le due Chiese, cattolica e ortodossa, crea una frontiera culturale da San Pietroburgo alla Croazia.

 

La matrice medievale degli spazi europei

Il maggior successo del Medioevo europeo è l’invenzione dello stato nazionale. Il modello di stato europeo prese forma dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente (476), attraverso la lenta trasformazione delle istituzioni romano-germaniche ispirata dalla Chiesa cristiana. Il potere centrale dell’imperatore si indebolì e fu progressivamente sostituito da un’organizzazione di sovranità territoriali frammentate: il feudalesimo. Questo sistema privilegiò gli spazi politici più stabili come il Regno d’Inghilterra, il Regno dei Franchi orientali (Germania), il Regno dei Franchi occidentali (Francia), dove un re o un principe riuscì ad imporsi ai vassalli nell’amministrazione della giustizia, nel prelievo fiscale, nel mantenimento della sicurezza. Anche nell’Impero Germanico la sovranità di fatto rimase frammentata tra i vari feudatari; anche la Chiesa, con la lotta per le investiture contribuì alla fondazione di un’Europa fatta di molti stati..

Il modello di stato europeo prese forma nel XIII secolo, in seguito alla formazione dei nuclei dei regni di Francia e Inghilterra, nello stesso tempo in cui i regni iberici della Spagna e Portogallo completavano una plurisecolare riconquista del loro territorio occupato dagli arabi.

I primi regni europei riuscirono a garantire nei loro territori un livello minimo di sicurezza che era indispensabile per lo sviluppo delle attività commerciali e produttive. Il prelievo fiscale esercitato dal sovrano veniva reinvestito per accrescere le potenzialità economiche del regno, avvantaggiandolo così nella competizione con gli altri regni europei. Negli imperi extra-europei, invece, (impero ottomano, impero moghul in India e impero Ming in Cina), spesso il sovrano si impossessava di enormi ricchezze impoverendo di fatto l’intero sistema economico.

Non in tutta l’Europa, tuttavia, si forma uno spazio politico nazionale, nell’Europa orientale grandi imperi riescono a mantenere sottomesse diverse popolazioni e diverse etnie sotto il loro dominio spesso dispotico, è il caso dell’Impero Russo, di quello Ottomano e di quello Asburgico (quest’ultimo era di fatto fra i tre il più "illuminato"). L’area geografica di convergenza di questi imperi è quella balcanica, che ancora oggi soffre in modo particolare la mancanza di uno stato nazionale.

Nei secoli successivi il modello di stato europeo si impose nel mondo intero, i territori extraeuropei che non lo imitarono finirono per subire una dominazione coloniale.


L’Europa fuori dall’Europa

Le mire espansionistiche europee dal XII al XVI secolo sono dirette verso Oriente. Le crociate consentono la conquista del Medio Oriente da parte dei principi europei avvantaggiando lo sviluppo del commercio delle repubbliche marinare nel Mediterraneo e specialmente di Venezia. Il loro dominio economico su quest’area durerà fino al 1453, quando cade l’Impero romano d’Oriente sotto la pressione dell’esercito turco.

Dalla fine del XV secolo al 1880 il progresso culturale e scientifico in Europa non ha paragoni. Le esplorazioni geografiche di spagnoli e portoghesi, aprirono il mondo alle conquiste coloniali a cui parteciparono in seguito anche inglesi, francesi e olandesi.

Le popolazioni iberiche, esplorarono la costa occidentale dell’Africa e l’India dove costituirono importanti basi commerciali. Con lo stesso spirito affrontarono la traversata oceanica e conquistarono l’America centrale e meridionale. Dalle colonie prelevarono immense ricchezze minerarie e ingenti tributi per arricchire la corona spagnola. Nell’America settentrionale, per contro, i colonizzatori inglesi, francesi e olandesi si insediarono stabilmente e trasformarono successivamente il territorio coloniale nella loro nuova patria, secondo schemi e impostazioni produttivi di derivazione europea.

Nel XVI secolo, i diversi modi di europeizzazione di ampi spazi extraeuropei nelle Americhe danno vita alla prima <economia mondo>, realizzata dal colonialismo e dal <capitalismo mercantile>, alimentata dalle ricchezze minerarie dei continenti appena "scoperti", dall’allevamento estensivo e dallo schiavismo.

Le civiltà extraeuropee subiscono il dominio dei colonizzatori e si avviano al declino numerico oltre che politico. Nello stesso tempo gli stati europei si arricchiscono commerciando i prodotti delle colonie d’oltreoceano e pongono in questo modo le basi economiche per attuare nel XVIII secolo, la "rivoluzione industriale".

Nel Cinquecento la lotta per la supremazia in Europa vede in un primo momento prevalere la Spagna, che riesce a controllare anche due regioni-chiave dell’economia europea: Italia e Pesi Bassi; in seguito la corona spagnola dovrà cedere il passo alla potenza militare francese che dominerà nel Settecento l’Italia e le Fiandre.

L’Olanda calvinista è la prima beneficiaria del declino spagnolo; ma nonostante i successi raggiunti in campo scientifico e col commercio marittimo non ha le forze per diventare una grande potenza coloniale. Il suo posto verrà preso dall’Inghilterra, che in due secoli (XVII e XVIII), grazie a un gioco di alleanze strategiche, ottiene l’egemonia sullo spazio europeo.

Italia e Germania, la frammentate politicamente in molti stati, non riescono ancora a competere con le due principali potenze europee: Francia e Gran Bretagna. L’impero austro-ungarico e quello russo, in competizione tra loro per il controllo dei Balcani, subiranno entrambi un tracollo con la prima Guerra Mondiale: il primo dividendosi in diversi stati e il secondo verrà travolto dalla rivoluzione russa.

 

Dall’epoca dei due blocchi alle guerre etniche

La lotta fra le potenze europee per la guida di un’Europa ancora al centro degli interessi mondiali scatenerà nella prima metà del Novecento due conflitti mondiali che porteranno importanti coseguenze: lo spazio europeo verrà diviso drasticamente in due sezioni egemonizzate dalle due superpotenze che vincitrice dell’ultimo cnoflitto mondiale. l’Unione Sovietica si aggiudicò il controllo dell’Europa centrale, favorendo la nascita di regimi socialisti strettamente collegati al controllo di Mosca; gli Stati Uniti invece, finanziarono la ricostruzione degli stati dell’Europa occidentale condizionando in alcuni casi la vita politica di questi stati. In Germania la divisione fra i due blocchi provoca una divisione nazionale in due repubbliche, Berlino, ex capitale del terzo Reich, viene divisa a sua volta in zone di occupazione dalle forze alleate. Nel 1961 viene costruito un muro che taglia in due la città e rappresenta in modo concreto la divisione tra i due blocchi. La tensione che si è creata nei decenni successivi ha sfiorato in più di una occasione un terzo conflitto mondiale con conseguenze catastrofiche per l’intera umanità, data la inarrestabile corsa agli armamenti nucleari da entrambe le parti.

Gli ultimi dieci anni di questo secondo millennio di storia hanno sconvolto l’ordine stabilito dalle due superpotenze negli ultimi cinquant’anni. Nel 1989, precipita la crisi che aveva coinvolto le economie socialiste negli anni ‘80 e cadono tutti i regimi dell’Europa centro-orientale. Nel novembre dello stesso anno il crollo del muro di Berlino segna la fine di un’epoca. La Germania riunificata al centro dello spazio europeo prospetta nuovi scenari per il futuro di questo continente. Appare tuttavia netta la differenza che caratterizza tre diverse Europe. Generalizzando potremmo affermare che: gli stati occidentali, anche se con mille difficoltà, stanno arrivando a definire la politica comunitaria dell’Unione Europea che presuppone un alto livello di sviluppo economico; la Russia e la CSI (Comuità degli Stati Indipendenti ovvero l’ex URSS) appaiono in condizioni economiche e sociali molto arretrate rispetto all’Unione Europea, mentre l’Europa "di mezzo" o "ex-comunista", formata dai paesi che un tempo si chiamavano "satelliti" dell’URSS, si trova in una posizione ambigua e polivalente: da una parte è fortemente sentita l’esigenza di avvicinarsi all’Europa ricca occidentale, dall’altra il brusco passaggio all’economia di mercato ha colto impreparati i governi post-comunisti di molti di questi stati che non sono riusciti a risolvere le gravi contraddizioni ancora esistenti.

Oltre all’aspetto economico, il crollo dell’URSS ha determinato gravi conflitti etnici che imperversano tanto all’interno che all’esterno dell’ex unione di stati socialisti. Le diverse popolazioni che erano prima riunite da un potere assoluto in uno stesso stato, rivendicano ora il diritto di fondare comunità nazionali omogenee, scacciando dalle proprie case cittadini di fede o di etnia diversa. I nazionalismi e gli integralismi diventano cruenti.

La fine della separazione tra le due Europe sta attivando notevoli flussi migratori: polacchi in Germania, rumeni in Austria, jugoslavi e albanesi in Italia.

A questo punto la domanda che ci poniamo è la seguente: riuscirà la comunità degli stati europei a contenere, visto che non riesce ad evitare, disgregazioni catastrofiche come quella della ex-Jugoslavia, e a gestire quindi questo importante e delicato momento di transizione della geopolitica dello spazio europeo? Probabilmente è ancora troppo presto per azzardare una risposta a questa domanda, ma forse un esame più ravicinato delle tre Europe ci aiuterà a capire meglio la situazione.


Le grandi sezioni dello spazio europeo

Lo spazio europeo, così difficile da definire entro confini geografici, si può meglio delimitare come una grande area in cui oggi è in corso un processo di integrazione economica.

Come abbiamo notato, dopo il 1989 la frammentazione politica si è accentuata: su 10 milioni di kmq si trovano oggi 43 stati, compresi sei di microdimensioni. In media ciascuna unità politica ha a disposizione oltre 230.000 kmq., un po’ meno della superficie della Gran Bretagna o della Romania, ma nella realtà sono ben 23 gli stati al di sotto della media. L’integrazione nel sistema mondiale consiste nell’abolizione della barriere alla circolazione delle merci, dei capitali, delle persone. I sistemi politici nazionali tuttavia, mantengono vive le diversità, cercano ciascuno un proprio ruolo nel sistema europeo e mondiale, ne contrattano l’adesione che non può mancare ma che può essere condizionata.

Differenti forze produttive ed eredità storiche possono aiutarci ad individuare oggi alcune grandi sezioni dello spazio politico-economico europeo: l’Europa occidentale, l’Europa centrale, l’Europa scandinava e baltica, l’Europa danubiano-balcanica, l’Europa orientale ex sovietica. Si tratta di una divisione che trova al suo centro la Germania, "locomotiva economica" d’Europa e punto di riferimento sia per le economie di tipo occidentale che per i paesi ex comunisti. Dopo la riunificazione tedesca, nel 1990, la centralità della Germania è diventata l’elemento essenziale della nuova geografia dell’Europa.


L’Europa occidentale

E’ il risultato di un lungo e stratificato processo storico. La sua estensione si è delineata con le conquiste dell’impero romano, e, successivamente la dissoluzione dell’impero carolingio, con la divisione dei franchi nel IX sec. d.C., ha gettato le basi per la divisione politica fra quelli che in seguito sarebbero diventati gli stati tedesco e francese.

E’ da quì che partono molte rivoluzioni a catena che cambieranno la storia dell’umanità: la rivoluzione geografica del XVI secolo, quella mercantile nello stesso secolo, quella agraria e scientifica nel Settecento, e, come conclusione e coronamento, la rivoluzione industriale.

 

L’Inghilterra

A quest’isola dobbiamo molti tratti salienti della nostra cultura europea, dalle concezioni economiche mercantilistiche e capitalistiche che portarono alla prima industrializzazione; al progetto e realizzazione politica della democrazia liberale, che in seguito si affermò in tutta Europa.

La potenza inglese comincia a declinare attorno al 1880, superata nella produzione industriale dagli Stati Uniti, Giappone e Germania. Un’abile classe dirigente riesce tuttavia a mantenere fino al 1939 l’egemonia politica e navale e il controllo sul sistema commerciale e finanziario mondiale. La City londinese pilotò i capitali britannici sulle proficue attività americane e tedesche, permettendo ai ceti agiati di spendere le rendite in consumi di importazione. Con il 1945 tutto ciò è finito bruscamente, gli USA hanno gestito direttamente da Wall Street (dove risiede la borsa di New York) il sistema mondiale, ma gli inglesi si sono adattati molto lentamente all’idea di un’Europa comunitaria che non fosse limitata all’asse GB-USA

Nell’assetto politico rimane ancora aperta la questione irlandese. Nel 1921, dopo una plurisecolare guerra di liberazione l’Irlanda cattolica ottiene dalla Gran Bretagna l’indipendenza, in cambio però deve rinunciare all’annessione della provincia dell’Ulster a maggioranza protestante. L’Ulster o Irlanda del Nord, continua a rimanere sotto la corona britannica. La divisione dell’isola irlandese è la fonte di numerosi fatti di guerriglia che da decenni insanguinano tanto Inglilterra che Irlanda.

Oltre alla differenza linguistica (in Irlanda si parla infatti l’irlandese che conseva caratteristiche celtiche), tra le due isole esiste una notevole diversità economica: l’Irlanda non ha ancora colmato il ritardo rispetto all’Inghilterra a causa di una tradizionale dipendenza economica.

Primo paese continentale ad aggregarsi all’industria inglese, il Belgio ha fatto da tramite alla prima fase di industrializzazione dei grandi vicini: Francia e Germania. La sua posizione geografica gli ha permesso di sviluppare una vocazione di "intermediario", rimanendo per secoli conteso dalle principali potenze europee di Spagna Inghilterra e Francia, Olanda, diventa stato autonomo ne 1830 sottraendosi così all’influenza francese. Nel 1958 promuove la prima unione economica d’Europa con Olanda e Lussemburgo: il Benelux. In questi ultimi anni il Belgio è stabilmente inserito nell’area economica del marco tedesco. Nonostante la divisione interna tra valloni francofoni e fiamminghi, Bruxelles, metropoli bilingue, è la capitale "naturale" della UE, il baricentro tra Francia, Germania e Gran Bretagna.

I Paesi Bassi, (impropriamente chiamati Olanda dal nome di una loro regione),hanno seguito un percorso storico particolarmente articolato. Passarono nel XV secolo dal dominio asburgico a quello spagnolo, dal quale si liberarono nel 1649. I Paesi Bassi si inserirono allora da protagonisti nella competizione coloniale, e, dopo aver conquistato vasti possedimenti coloniali in Estremo Oriente, vennero soppiantati dagli alleati inglesi. Hanno vinto l’insicurezza territoriale profondendo enormi energie nelle bonifiche, creando un vero "paese artificiale": il 17% del territorio nazionale è stato strappato al mare con un’opera che dura dal XII secolo. Sul piano politico-militare invece, gli olandesi hanno dovuto più volte constatare la loro debolezza. Invasi da Napoleone e da Hiltler, forzatamente legati al Belgio tra il 1815 e il 1830, privati nel 1949 del plurisecolare possedimento indonesiano, i Paesi Bassi hanno saputo ogni volta riprendersi grazie alle opportunità della loro posizione geografica, di transito obbligato tra Renania e Mare del Nord, tra Inghilterra e Mare del Nord, tra Inglilterra ed Europa continentale. Rotterdam, che nel 1945 era il porto europeo più danneggiato dalla guerra, nel 1955 ha soppiantato Londra come primo porto europeo, dal 1965 è il primo porto mondiale per traffico di merci.

Raggiunta l’unità nazionale nel XV secolo, dopo la guerra dei cent’anni contro gli inglesi, la Francia consolidò ed ingrandì il suo peso in Europa contrastando gli spagnoli in Italia e la potenza asburgica ottenendo, in seguito alla guerra dei trent’anni, l’Alsazia. Nello stesso tempo la monarchia assoluta francese si spingeva in conquiste coloniali in Africa e America.

Con la rivoluzione francese e il periodo napoleonico l’Impero francese non riesce ad egemonizzare lo spazio europeo ma diffonde in tutta Europa la cultura liberale delle nuove classi borghesi che avranno un peso determinante nei due secoli successivi.

Nel XIX secolo l’industrializzazione fu complessivamente più lenta in Francia, dove solo le regioni di Parigi, di Lione e dei grandi porti atlantici hanno tenuto il passo allo sviluppo industriale inglese. Il resto del paese - la Francia ha superficie più che doppia rispetto alla Gran Bretagna - è rimasto prevalentemente agricolo. La coesione interna, l’equilibrio tra metropoli e città di provincia, tra aree industrializzate e regioni agricole, sono stati mantenuti attraverso il centralismo amministrativo, un modello che esiste in Francia da quattro secoli e che ha raggiunto notevoli risultati grazie alla qualità della burocrazia statale.

La debole crescita demografica rispetto a quella economica ha messo a disposizione dei francesi abbondanti capitali da investire all’estero, soprattutto nelle ex-colonie, senza compromettere la relativa indipendenza dal mercato dei settori considerati essenziali (alimentazione, energia, tecnologia militare, telecomunicazioni, informazione).

La Germania, come l’Italia, ha avuto una unificazione nazionale tardiva, divisa in molti principati e stati spesso in contrasto con l’autorità imperiale del Sacro Romano Impero. Dopo aver sconfitto la Francia Napoleonica e l’Austria , nel XIX secolo il regno di Prussia diventa la potenza principale dello spazio germanico, e guida il processo di riunificazione della Germania, prima economica (con l’unione doganale), poi politica, con l’acquisizione dell’Alsazia e della Lorena in seguito alla vittoria sulla Francia del 1870.

Lo sviluppo economico tedesco è avvenuto lungo l’asse fluviale del Reno ed alle vie di terra che sin dal Medioevo collegano tra loro le città dell’Italia settentrionale e quelle delle Fiandre. L’industria del carbone e del ferro nella Saar e nella Ruhr, ha fruttato centodieci anni di intensa crescita economica, tra il 1850 e il 1960. L’industrializzazione e l’urbanizzazione si sono diffuse facilmente in Germania grazie all’ottima rete di collegamenti: nel 1911 la rete ferroviaria tedesca era più lunga di quella francese del 50%, e del 65% rispetto a quella inglese.

Dopo la seconda Geuerra Mondiale lo spazio tedesco viene diviso in due stati che seguono la logica dei due blocchi: la Repubblica Federale Tedesca a occidente, che seguirà lo sviluppo economico intenso dell’Europa occidentale; e la Repubblica Democratica Tedesca, che diventa un paese "satellite" del blocco sovietico. Nel 1989, la riunificazione dello spazio tedesco risulta un operazione più lunga e difficile del previsto a causa ell’arretratezza economica della Germania orientale ex-comunista. La Germania è ora più spostata verso est, con un cuore economico lungo l’asse renano e regioni periferiche che si "interfacciano" con le economie dell’Europa orientale.

Nonostante le difficoltà, la Germania occidentale prima e quella riunificata dopo, ha mantenuto la posizione egemone nell’economia europea, e si propone, assieme alla Francia, alla guida dell’Unione Europea.

Solo dopo il 1960 l’Italia ha raggiunto il livello economico del resto dell’Europa occidentale. La tardiva unificazione politica, nel 1861, è forse la principale causa del ritardo, benchè una "nazione italiana" sia rintracciabile - almeno in termini culturali e linguistici - già dal XVI secolo. L’economia italiana ha vissuto tutte le fasi delle sviluppo moderno in forma accelerata, per colmare il ritardo. In pochi decenni dopo l’unità politica venne costruita la rete ferroviaria, collegata tramite i trafori alpini alla rete europea; gigantesche bonifiche vennero realizzate su vaste aree: delta del Po, Maremme, Paludi Pontine, Agro romano, Lago del Fucino. Si uniformò il mercato nazionale attraverso la moneta unica, un moderno sistema bancario, l’abolizione dei dazi e delle dogane preunitarie.

Con il completamento delle conquiste territoriali interne, l’Italia procedette per tappe successive alla fondazione di un piccolo impero coloniale: Libia (1912), Etiopia (1936), Albania (1939).

Tardivi sono stati anche i progressi sociali italiani: la lotta contro l’analfabetismo (nel 1901 gli analfabeti in Italia erano il 50% della popolazione contro il 17% in Francia e il 19% in Belgio); le prime misure di legislazione sociale riguardo il lavoro minorile risalgono al 1886 e ricalcano quelle inglesi di trent’anni prima; il suffragio universale risale solo al 1946 (referendum per la scelta fra monarchia e repubblica).

In termini di ricchezza prodotta e di consumi nel breve periodo di sviluppo, il progresso italiano ha dello straordinario. In particola re se si considera il periodo successivo al 1960, in cui il grande salto in avanti avvenne grazie al capitale internazionale. Nel 1978 il reddito pro-capite italiano ha già raggiunto il 40% di quello statunitense, nel 1989 è pari al 72%, la stessa percentuale resta anche nel 1994.

La crescita veloce dell’economia italiana non è avvenuta senza ombre: gli squilibri regionali tra nord e sud del Paese, il grande ruolo dell’<economia sommersa> e di settori poco produttivi quando non parassitari; il rapido cambiamento del profilo demografico con l’invecchiamento della popolazione e la <crescita zero>.

Per la Spagna e il Portogallo l’ingresso in Europa è avvenuto in tempi ancora più recenti, in coincidenza della caduta dei regimi autoritari in vigore tra il 1970 e il 1975. Vista nell’ottica del lungo periodo, l’evoluzione economica e sociale dei pesi iberici è stata segnata dal colonialismo, fino alla perdita degli ultimi grandi possedimenti coloniali: il Messico nel 1821, il Brasile nel 1822 e Cuba nel 1898. Seguì una progressiva restrizione delle economie nazionali, rimaste sotto il controllo della grande proprietà terriera e di una ridotta borhesia urbana e mercantile.

Negli anni Trenta i ceti dominanti si affidarono a dittature di tipo fascista, quella di Salazar in Portogallo, e quella del generale Franco in Spagna. Quest’ultimo, riuscì a vincere la guerra civile con l’aiuto di Italia e Germania.

Come nel caso italiano, anche gli stati iberici sono partiti in ritardo sulla via dello sviluppo economico marcata dagli stati dell’Europa occidentale. Con l’ingresso nella Comunità Economica Europea, nel 1986, Spagna e Portogallo hanno recuperato qualche posizione, marciano però ancora con un ritmo più lento: il reddito pro-capite spagnolo nel 1978 raggiungeva solo il 36% di quello statunitense e nel 1989 arrivava al 45% e nel 1994 al 53%.

Permangono nella penisola profonde fratture storiche che si sono sovrapposte alla frammentazione dell’ambiente geografico, dando vita a regioni culturali ed economiche dai caratteri ben distinti: l’Andalusia più "moresca" e rivolta all’Africa, la Castiglia centro politico e amministrativo, il Portogallo con forti squilibri tra Nord e Sud, la Catalogna fortemente legata al Midì francese, i l paese basco dove tuttora si conservano lingua (euzkadi) e tradizioni di origine antichissima.

Per effetto dell’integrazione economica e politica dell Unione Europea si sono ulteriormente evidenziati gli "assi forti" dell’Europa occidentale più industrializzata e urbanizzata. La nuova geografia economica ricalca quella - vecchia di qualche secolo - dello sviluppo mercantile e urbano: al centro la Renania tedesca e fiamminga, ad ovest l’Inghilterra e la Francia nord-orientale, a sud la Padania italiana. Queste regioni occupano il 5% della superficie europea ma concentrano il 22% della popolazione e il 40% del prodotto economico europeo.

 

L’Europa centrale

Tra l’Europa occidentale, in cui si sono succedute l’egemonia spagnola, francese, britannica e l’Europa orientale russa si frappone una fascia intermedia, formata da Polonia, Boemia, Slovacchia, Austria e i Balcani. Nella parte meridionale balcanica, dal IV al XII secolo Costantinolpoli è stato il principale centro di potere, rinnovando poi la sua vocazione imperiale con l’impero Ottomano (1453-1912). L’attuale Istambul rimane la metropoli culturale ed economica dell’area. Al Nord dell’Europa centrale, l’ascesa a grandi centri di potere politico di Vienna (XVII secolo) e Berlino (XVIII secolo) è assai più tardiva.

Alla fine della seconda guerra mondiale, con la divisione europea in due settori di influenza, quest’area passa sotto il controllo dell’Unione Sovietica.

Il 1989 ha segnato un profondo cambiamento nella geografia dell’Europa centrale.

Lo stato tedesco, il primo ad essersi formato (con Ottone il Grande nel 962), è anche l’ultimo ad essersi riunificato; ma lo spazio tedesco, sempre più sbilanciato verso Est, rimane diviso tra una Gerrmania Occidentale ipersviluppata e le regioni orientali in ritardo, una lacerazione che riguarda le due "vocazioni" tedesche: l’ Occidente e la Mitteleuropa (o Europa di mezzo).

Al centro geografico di un’Europa di stati piccoli e medi, che ha ai margini il "gigante malato" russo, la Germania ha oggi responsabilità proporzionali al suo grande peso economico, politico, militare, culturale.

Le economie e le le società dell’Europa centrale ex-comunista guardano al potente vicino in grado di fornire capitali, tecnologia, turisti e beni di consumo. La Svizzera e l’Austria sono due stati di piccole dimensioni che, assieme alle realtà più consistenti di Danimarca e Benelux sono entrate nell’area economica del marco tedesco; stanno inoltre per farvi ingresso anche la Boemia, recentemente separatasi dalla Slovacchia, e la Slovenia ex-jugoslava.

Il peso economico della Germania è esorbitante rispetto a quello dell’Austria e dell’insieme Polonia-Boemia-Slovacchia-Ungheria. Nonostante la perdita del principale mercato dell’Unione Sovietica, Ungheria e Cecoslovacchia sembrano ormai prossime a raggiungere una "massa critica" di infrastrutture, incentivi e dinamismo del settore privato tale da rendere possibile il decollo dell’economia di mercato. In Polonia, invece, nonostante una consistente evoluzione economica, si fanno sentire il peso di una maggiore dimensione demografica e territoriale oltre che una instabile situazione politica.

Nel 1991 si è tenuto a Praga un convegno sulla "Comunità dell’Europa centrale" che dovrebbe nascere da una sistematica cooperazione fra Austria-Germania e Polonia-Cecoslovacchia-Ungheria.

Nella penisola bacanica il peso economico della regione è modesto, i divari tra i singoli paesi sono altissimi: da una situazione relativamente agiata per la Grecia, che è inserita nel mercato comune europeo, alla disastrosa condizione dell’Albania che potremmo definire come una enclave del Terzo Mondo in ambito europeo.

L’Ungheria è il paese più originale dell’Europa centrale. Ha avuto origine dall’insediamento nella pianura pannonica, terminale europeo del "corridoio delle steppe", di nomadi di origine asiatica e lingua ugro-finnica. Quella ungherese è l’economia meglio uscita dal quarantennio comunista, con un agricoltura diversificata ed efficente su base cooperativistica, un industria parzialmente rinnovata e un’aperta adesione al sistema economico internazionale.

La Cecoslovacchia era il paese più industrializzato del blocco comunista; l’autonomia politica voluta dalla Slovacchia agricola nel 1993 ha accelerato l’ingresso nell’area del marco dellaRepubblica Ceca, nella quale si concentra gran parte dell’apparato produttivo ancora efficiente. La Polonia, cattolica e ancora largamente contadina (28% della popolazione attiva), ha ribaltato rapidamente i propri rapporti commerciali, prima dipendenti dall’URSS e ora dominati dall’interscambio tedesco.

 

Europa baltica e scandinava

La penisola scandinava ha acquistato un’economia moderna e un solido tessuto urbano soltanto dal 1920-1930. Per tutto il XIX secolo e nei primi decenni del XX, la rigidità del clima condizionò le società scandinave a un’agricoltura poco produttiva e spesso in crisi.

Tra il 1850 e il 1950, sotto la spinta demografica che portò al raddoppio della popolazione, da 5 a 10 milioni di abitanti, emigrarono negli Stati Uniti circa 2 milioni di svedesi e norvegesi.

Il quadro politico è stato stabile nel tempo. L’origine degli stati attuali risale all’alto medioevo, quando Scania e arcipelago danese divennero territorio di insediamento stabile delle popolazioni vichinghe. Nel XVI secolo, con l’adesione alla Riforma protestante, nacquero i regni nazionali di Danimarca e Svezia, mentre la Norvegia rimase nell’orbita prima danese e poi svedese fino ai primi del Novecento. Finlandia e sponda meridionale del Baltico sono state oggetto di una lunga contesa tra le potenze regionali: Svezia, Russia e i domini dell’Ordine teutonico che divennero in seguito lo stato prussiano.

L’area baltica si è divisa in tre aree politico-culturali: scandinava, tedesca e slava, con diversi ritmi di sviluppo economico. I paesi scandinavi, dotati di struttura statale stabile e di ottimi sistemi scolastici, hanno seguito il modello di industrializzazione inglese e profittato della neutralità nei due ultimi conflitti mondiali. La Finlandia liberatasi dal dominio russo nel 1917, subì l’occupazione sovietica dal 1939 al 1947 e si aggrego dopo il 1960 all’area economica scandinava.

I quattro paesi costituiscono una delle regioni altamente industrializzate del pianeta i cui abitanti godono di redditi superiori del 40-50% alla media europea. La Finlandia ha rapidamente recuperato il ritardo, avvicinandosi alla "locomotiva svedese" che nel frattempo ha dovuto rallentare la sua corsa a causa della concorrenza internazionale.

Gli stati che si affacciano sulle sponde meridionali del Baltico: Germania, Polonia, repubbliche baltiche, hanno subito dal secondo dopoguerra quattro decenni di egemonia sovietica. Dal 1989 la situazione è radicalmente mutata, e anche quest’ambito dell’area baltica è rientrato nella sfera d’influenza dell’Europa scandinava e tedesca. La Pomerania occidentale, già appartenente alla Repubblica Democratica Tedesca, è entrata a far parte della Germania riunificata. Il ritorno all’indipendenza delle tre repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia) prima inglobate nell’URSS ha rivelato un forte ritardo economico con redditi pari a un decimo di quelli scandinavo e tedesco.

 

Europa balcanica

La frammentazione in quest’area non è un problema recente. La sua posizione di avamposto europeo terrestre e marittimo di fronte all’Oriente, e il suo ruolo di "cuscinetto" tra gli imperi russo, ottomano, austro-ungarico l’hanno trasformata in un mosaico etnico-culturale. LA montuosità di ampi spazi di questa regione ha consentito lunghe sopravvivenze, come quella degli albanesi e dei greci, che hanno resistiti sia all’avanzata degli slavi che alla dominazione turca, mantenendo una lingua molto vicina al greco classico. La montagna balcanica è un vero museo etnologico in cui le diversità permangono sotto un’apparente uniformità della cultura greco-slava. Isole islamiche sono presenti in Albania, in Macedonia, in parte della Bosnia e nella Turchia europea, importante appendice di quella asiatica (vi vivono infatti 5 dei 7 milioni di abitanti di Istambul).

Anche gli slavi, come i tedeschi, hanno lungamente aspirato all’unità politico-religiosa (panslavismo), ma la debolezza degli stati balcanici ha lasciato ampio spazio prima all’espansionismo austro-tedesco e zarista, poi all’Unione Sovietica. Dopo 45 anni di regime socialista e di separazione dall’Europa occidentale, sono divenuti evidenti gli insuccessi economici della <collettivizzazione> sia in agricoltura che nell’industria. I ritmi di crescita dei paesi di quest’area sono infatti molto più lenti che in occidente. Inoltre, le antiquate tecnologie industriali non hanno risparmiato contaminazioni ambientali neppure in quest’area: la lignite, combustibile base di tutta l’Europa orientale ha inquinato le città e le regioni industriali come l’alta Slesia, la Boemia settentrionale.

La frammentazione etnica e i problemi economici hanno riacutizzato la cronica fragilità politica nella penisola, dove in un secolo si sono prodotti gli effetti devastanti della dissoluzione di quattro imperi: quelli turco, russo e austro-ungarico (tra il 1912 e il 1919), e l’"impero sovietico" (dopo il 1989). La disgregazione della ex Jugoslavia, seguita all’indipendenza delle regioni più moderne della Slovenia e della Croazia, si è rapidamente trasformata in guerra civile. La caduta del regime comunista in Romania è stata traumatica ma non ha tolto il paese dal sottosviluppo e dall’isolamento geopolitico: la solidarietà dell’Europa occidentale è stata finora solo formale; l’indipendenza della Moldavia ex sovietica nel 1991, a maggioranza rumena, e la successiva indipendenza autoproclamata dalla popolazione russofona del Transdniestr ha causato l’intervento dell’esercito russo.

Vi è anche il problema delle minoranze turche e musulmane, ereditate da cinque secoli di dominio ottomano, in Bulgaria costituiscono l’8% della popolazione nazionale, in Grecia l’1% e nei territori della ex-Jugoslavia lo 0,5%.

Europa orientale

Dal punto di vista della geografia fisica questo spazio è molto diverso da quello dell’Europa a ovest del fiume Oder, le regioni dell’Europa centrale e occidentale sono caratterizzate da una netta differenziazione interna: gli spazi pianeggianti divengono cellule spesso circondate da montagne, ciascuan di queste cellule è diventata una unità storica. A oriente, invece, si distende l’immensa pianura russa fino agli Urali, uno spazio aperto agli influssi di migranti e invasori asiatici. Si contrappone così anche per la conformazione fisica un’Europa delle nazioni (ovest) ad un’Europa degli imperi (est).

L’Europa orientale, delimitata convenzionalmente a Est dagli Urali, si compone di diversi stati a etnia prevalentemente slava, il principale è la Russia, che ha egemonizzato nei secoli quest’area.

L’organizzazione politica della nazione russa ha avuto origine nell’orbita culturale dell’impero bizantino. L’adozione del cristianesimo ortodosso modellò in profondità la cultura russa: nella lingua, con l’adozione dell’alfabeto cirillico, e nella lingua parlata, che deriva direttamente dalla lingua liturgica. La separazione culturale dall’Europa occidentale latina e in seguito latino germanica diventava sempre più netta.

Lo stato russo dovette nascere due volte. Il Principato di Kiev, formatosi dopo il IX secolo, non sopravvisse all’invasione mongola (1241). La Russia rinacque allora più a nordest, tra il fiume Volkhov e l’alto Volga, in una regione protetta da vaste foreste. Nei secoli successivi re e imperatori russi si occuparono essenzialmente dell’espansione territoriale che continuò verso oriente fino al XIX secolo, quando fu bloccata dalla guerra russo-giapponese (1904-5).

L’organizzazione territoriale, in un impero così vasto, e la gestione del potere era molto difficile, la vita sociale, basata su un feudalesimo arcaico e sul servaggio non riusciva a tenere unite popolazioni ed etnie differenti. Così, mentre l’Europa delle nazioni usciva dal Medioevo feudale, la "Grande Russia" appariva al suo confronto estremamente arretrata. Furono necessari tre secoli per l’emancipazione dalla tutela dei tartari (così i russi chiamano i mongoli) e sei per la definitiva abolizione della servitù (1864).

Questo lungo processo evolutivo diede origine a tre nazioni russe distinte: quella ucraina, più aderente alla tradizione greco-bizantina; quella bielorussa, profondamente contadina, a lungo isolata tra foreste e paludi, quella russa, vincitrice dei tartari e in grado di imporre al mondo slavo la guida assolutistica degli zar.

Durante questa gestazione, la Russia non cessò di oscillare come un pendolo tra Asia e Europa. Dal XVI secolo i contatti con l’occidente migliorarono la tecnologia militare russa, proteggendo il territorio dalle successive incursioni dei nomadi. Sotto i grandi zar Pietro I e Caterina II la Moscovia fece perno non più su Mosca, capitale "asiatica"e interna, ma su San Pietroburgo, progettata nel 1703 sul modello delle capitali europee.La cultura europea fu adottata dalla corte e dalla nobiltà cittadina. La letteratura, la scienza, le dottrine liberali e socialiste vi penetrarono attraverso la mediazione francese e tedesca. Gli avvicinamenti all’Europa occidentale si alternarono a momenti di isolamento, in cui la Russia si dedicò alla conquista del continente asiatico.

Dopo aver conquistato l’immensa pianura siberaiana a Est degli Urali, nel Settecento la Russia si mosse alla ricerca di una "finestra marittima" affacciandosi sul Baltico, ai danni di Svezia e Polonia, e sul Mar Nero, contrastando l’impero ottomano. Nel secolo successivo avverranno le annessioni di Finlandia e Polonia, nonchè dei territori dell’Amur sul Mar del Giappone.

Questa enorme espansione nei territori asiatici fu bloccata dalla guerra russo-giapponese e, durante la prima guerra mondiale, dalla rivoluzione bolscevica. Di fatto le vittorie dell’Armata Rossa ricostruirono la continuità territoriale dell’impero zarista. Nacque il più vasto spazio politico del mondo, l’Unione delle Repubbliche socialiste Sovietiche, 22,3 milioni di kmq., controllata centralmente dalla Russia attraverso una complessa gerarchia di parziali autonomie amministrative: repubbliche federative (come quella russa), repubbliche socialiste (come l’Ucraina e la Bielorussia), repubbliche autonome (Turkestan, Kazakistan), regioni autonome per le consistenti minoranze asiatiche (udmurti, mordvini, tartari del Volga, baschiri, ciuvasci, mongoli e calmucchi del basso Volga).

Dopo le tensioni degli anni Sessanta e Settanta dovute alla "guerra fredda" tra le due superpotenze USA-URSS, negli anni Ottanta aumentano le difficoltà delle economie socialiste a garantire livelli di consumo già molto più bassi di quelli delle società occidentali. Dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 e di tutti i regimi dell’Europa centro-orientale, nel 1991 le Repubbliche di Russia, Bielorussia e Ucraina hanno dichiarato sciolta l’Unione Sovietica che avevano fondato insieme nel 1922 e hanno dato vita alla CSI (Comunità di Stati indipendenti). Questo nuovo organismo ha incontrato molte difficoltà a coordinare la vita politica ed economica degli 11 stati membri, che pur mantengono la piena sovrantà. I problemi sono dovuti principalmente alla faticosa riconversione economica e alla spartizione del potente apparato bellico e industriale della disciolta Unione Sovietica.

Un altro ordine di problemi riguarda la la difficile convivenza delle diverse etnie fra le repubbliche ex socialiste. Anche la Russia, che è a sua volta una federazione di popoli (Federazione Russa); fra i suoi 150 milioni di abitanti, 30 milioni sono di etnia diversa da quella russa. L’ultimo drammatico esempio di ribellione contro il potere di Mosca è la sanguinosa guerra in Cecenia.


                 
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